domenica 10 novembre 2013

C&B FF ROMA • Giorno 2 • Her

DI BUON ORA COMINCIA LA GIORNATA DELL'ITALICO CINEAMATORE.
VISPO E LESTO, TOSTO E CARICO COME UNA BAIONETTA, IL CINEAMATORE SI SVEGLIA E SUBITO CORRE VERSO IL FESTIVAL DEL CINEMA IN ROMA. 
SICURO CHE, ARRIVANDO ALLE PRIME LUCI DELL'ALBA, TROVERà AD ATTENDERLO SOLAMENTE IL DESERTO DEI TARTARI.
E invece col cacchio. Invece la folla. La mandria. Raminghi come pecore al pascolo senza pastore, i Critinici si affollano ai cancelli che manco gli zombi di Walking Dead. Corneeetttoooo. La sensazione di The Critic Dead ormai è sempre più netta, aiuto.
Insomma dài, non ci puoi proprio pensare che la domenica mattina in Roma c'è davvero così tanta gente che si sveglia e va a vedere un film. Dove sono finiti i bei romani di una volta, quelli che se non era mezzogiorno non ci si svegliava e se non erano le 3 non ci alzava dal letto.
Siete molto cambiati, romani, non vi riconosco più.
Ammetto che il motivo di questa alzataccia si è poi rivelato del tutto giustificato. Io e tutti i Critic Dead abbiamo visto
Her
Trama: Her mess

Il nuovo film di Spike Jonze, quello di Essere John Malkovich, del Ladro di Orchidee, del Paese delle creature selvagge, ma soprattutto di tanti e tanti video musicali, storici, indimenticabili.
Credo non ci sia bisogno di raccontarvi la storia di Her, si attendeva da tempo questo film. Ma se mai ce ne fosse il bisogno eccola qui: Theodore, un giovane introverso e diversamente sociale (per non dire asociale, perché altrimenti vorrebbe dire che siamo tutti asociali) vive in una Los Angeles del futuro, un futuro molto vicino... potrebbe essere il 2025, massimo 2030.
La sua è una vita che potrebbe definirsi vuota: da poco divorziato dalla moglie, con un lavoro strano ai nostri occhi (scrive lettere per altri, cioè compone lettere scritte a mano di ogni natura e genere - dal nipote che saluta il nonno, al marito in viaggio per lavoro che scrive alla moglie, al commilitone che ricorda un amico scomparso e via dicendo) ripete ogni giorno come il precedente, e come il precedente, e come il precedente.
Intorno a lui la tecnologia che tutti già conosciamo: mail, social, chat. Ovviamente siamo all'oggi spinto di una quindicina di anni in avanti rispetto al contemporaneo, quindi via le tastiere, via i cavi, è tutto wireless, via anche la digitazione touch, si parla e si dialoga con, si chiede ai propri device e loro eseguono.
Ma è ancora tempo di novità (sarà sempre tempo di novità, si chiama progresso, anche quando è regresso mascherato da progresso): viene messo sul mercato un nuovo sistema, un'intelligenza artificiale innovativa, capace di imparare. Ma non solo di imparare o di pensare, mutare, insomma non solo adattarsi ai piaceri e ai gusti dell'utente (Google già lo fa, ci sono robot che giocano a scacchi dagli anni 70); no, questo nuovo sistema crescere, si fa domande, vuole sapere. In definitiva, vuole essere.
È molto difficile continuare a raccontare Her senza entrare nei meandri odiosi dello spoiler, perché succedono molte cose in Her e sono tutte credibili, sono tutte vere, sono tutte praticamente già qui, solo non ora.
Ecco, quello che più entra nella corteccia dello spettatore di Her è proprio la straordinaria quantità di volte che vi ritroverete a pensare "è vero, è così, già", attenzione, siamo lontani da grandi verità da santoni o illuminazioni ascetiche, o frasette buone per uno status su facebook, siamo proprio dalle parti del "oddio, sta raccontando la mia vita, sta raccontando me". Come quelle canzoni, quelle che sembra ti parlino.
E la sensazione che lascia il film è di una forte, fortissima, malinconia. Non oserei chiamarla tristezza, perché nessuno è mai disposto a definire la vita (propria, di altri, ma più la propria) triste in assoluto. Ci sono sempre le cose che ti divertono, quelle che ti fanno stare bene, che ti danno soddisfazione, le gioie, le eccitazioni, ma sembra che siano solo respiri, attimi, sembra che il vero motore sia più la malinconia, le cose che non sono andate, quelle volte che "cavolo vorrei aver fatto o detto cose diverse quella volta".
Lo stile di Jonze, già più volte e soprattutto al cinema, limpido e melanconico è assolutamente perfetto. Non è una fantascienza sparafleshata la sua, né ruvida o arrugginita. Siamo dalle parti di quella puntata di Black Mirror, o di questo corto che ho già messo altrove ma che anticipa l'idea generale di Her, che ripeto, non è "L'IDEA", è solo la verità:
Ma senza la paura. O meglio, un tipo di paura del tutto diverso, un tipo di paura lontano dal "no, non dobbiamo lasciare che accada! stacchiamoci dai social, chiudiamo facebook, aiuto", qui siamo immersi in una consapevolezza spaventosa: sarà così. È così che andrà e noi non ci potremo fare nulla. Ci sarà, certo, chi ne starà lontano il più possibile, chi odierà quello che diventeremo, ma questa è la strada e non si torna indietro.
Theodore è normalissimo, non è un povero sfigato e neanche un fissato della tecnologia e di tutte le sue applicazioni, e non è un disperato totalemtne solo impazzioto e maniaco compulsivo, nel film lo si capisce bene, il sistema è un successo, tutti ne hanno uno, e non diventa più una cosa "malata" avere come miglior amico o fidanzato, o confidente, o amante (!) una voce. E non è un mostro sfigurato (è Joaquin Phoenix, il labbro leporino più bello di Hollywood, che questa volta si merita un oscar anche solo per quello sguardo struggente e profondo, e poi quelle risate sincere e quei momenti felici, pochi, troppo pochi, che ti aprono il cuore), non è un gobbo di Notre-Dame costretto ad accontentarsi di una fidanzata virtuale perché nessuno lo vorrebbe. 
Nessuna di queste cose: è solo "uno". Io? Tu?
La storia d'amore tra Theodore e Samantha (un nome che l'intelligenza artificiale si sceglie da sola tra 180.000 appena letti, in due decimi di secondo, su un manuale "È facile dare un nome a tuo figlio, se sai come farlo”) è, ovvio, atipica, asociale, anormale, e tutte le a- privative che vi vengono in mente, è un uomo che ama una macchina, anzi una voce, senza neanche un corpo, neanche un burattino robotico, neanche un surrogato, eppure è una storia tremendamente vera: con le gelosie, i non detti, le rabbie, le derive, il sesso, la routine, le gite e la fine. 
Ripeto, diventa davvero difficile non raccontare i risvolti che un plot del genere può prendere, ma ho deciso di avere abbastanza cura di voi da non rovinarvi il film, tantomeno il finale, che ho trovato splendido, è a sorpresa, ma non forzata, non del tipo "maddai e chi se l'aspettava" è piuttosto un "certo, non poteva che andare così". E centrano i calcoli quantici, per dire.
La delicatezza di quasi tutti i comparti chiude il quadro di uno dei migliori film dell'anno, le interpretazioni perfette, Joaquin non assoluto come in The Master ma con quel tipo di perfetta e normale sofferenza che, dio mio, saresti assurdo a non provarla, non saresti umano, o saresti un totale inetto. Scarlett Johasson anche, solo una voce, è ad un passo dal ricevere quei tipici oscar strambi che piacciono ad Hollywood, come quando hanno dato l'oscar alla donna che faceva l'uomo o al morto. Poi particine per Amy Adams, Olivia Wilde e Rooney Mara, tutte appannate dalla voce di Scarlett e dalla felicità di constatare che sono riusciti - credo con uno sforzo pazzesco - a non farla apparire mai nel film, veramente mai, neanche in foto o su uno schermo, sarebbe stato facilissimo e, a livello di mera commercializzazione, scontato. Bravi.
Funziona quasi tutto perfettamente, oltre gli attori e la storia: fotografia in primis, ma anche la colonna sonora quasi tutta suonata al piano, e colori pastello dei costumi - ecco no, forse i costumi risultano un po' troppo post-hipster, camicette a quadri abbottonate fino al collo e pantaloni anni cinquanta, ma serve anche quello, serve ad avvicinare e allontare il tempo al tempo stesso.
Un bel film. Era da tanto.
E Joaquin è veramente l'attore wannabe, uno che è passato da un'interpretazione al di fuori di ogni schema (leggetevi quel post, tre anni fa, poi riparliamo di barbe hipster) compreso il più grande momento di televisione del mondo:
a interpretazioni assolute come quella di The Master(in versione storpio) e questa (in versione uno normale).
Felice di questa mattinata, e sicuro di non perdere un grammo del mio fascino, inversamente proporzionale ai grammi presi anche dal Joaquin che qui vediamo in una diapositiva un po' cicciona...
...vado a Orvieto - ridente cittadella umbra - a magnà. Così, perché semo romani fatti cor pennello e le ragazze di Orvieto famo innamorà. Quindi mentre l'artri se vedeveno i firm io me so magnato un ristorante scavato nelle sale etrusche de mille anni fa, tutto cucinato da uno di quegli chef che mo gli fanno fare i libri e i programmi in TV tipo Master Scem tutta questa roba qui:
- Tripudio di rustici, pizzette, cannolini col gorgonzola, patatine fritte vere
- Tris di primi con crepe cannella, ricotta e qualcosa di buono che non ho capito che era, fettuccine al sugo di lepre (credo di lepre austrungarica, che mica uno diventa chef così, con la lepre marsicana), polentina al tartufo e funghi
- Cestino di sfoglia con fegatini rosolati in salsa, 
- Torta cocco e cioccolato, budino di caffè su pan di spagna affogato al brandy, panna cotta alla fragola sempre su pan di spagna, 
Caffè, ammazzacaffè e conto e tu vuoi che muoro?
Quindi, satollo come un etrusco, me ne torno a Roma alla faccia dei mangiatori di corneettiii e corro a vedere Snowpiercer al distaccamento del Festival, il cinema Barberini che, guarda un po' è... PIENO! SONO ANCHE QUI! FINITI SUBITO I POSTI PER I traPASSati, FINITI I BIGLIETTI A PAGAMENTO! MA CHE È! ALLORA 'STO CINEMA È VIVO! IL CINEMA È VIVO E QUELLI COI PASS SONO TUTTI MORTI! Ma poi io dico, capisco pure che Her ci sta Scarlett Joahnsson che attira la gente anche solo con la lingua (!), ma Bong, dài, ma che ve ne mai fregato di Bong? Dai che se esce un film koreano al cinema bene che va ci vanno in tre, mo' invece basta un pass e tutti col Bong in bocca.
Si vede che STO ROSICANDO? Dite che si vede eh?

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