martedì 11 dicembre 2012

SPECIALE TORINO FILM FESTIVAL 2012 • 2

[Dopo ieri anche oggi ci sta Alabama e il suo reportaggio del Torino Film Festival. Se avessi 14 anni direi "Pija troppo bene". Di anni ne ho 34 e dico "Bella pettè, Alabbama". Ciebbì]
ARTHUR NEWMAN
Dante Ariola, USA, 2012
Aka “in fuga con la figa”, per fare contento C&B e i suoi titoli da paroliere di quart’ordine. Opera prima, in concorso, di Dante Ariola, narra la fuga dalla triste realtà di Colin Firth che, odiato da figlio ed ex moglie e frustrato da una vita di insoddisfazioni, decide di cambiare identità e partire alla volta dell’Indiana per diventare insegnante di golf professionistico. Ben presto la sua strada incrocia quella della strafiga disadattata Emily Blunt, personaggio borderline e dalla famiglia devastata. Mmmhhh quante novità in un solo film, eh?! Un plot veramente innovativo! Quanto bisogno di film del genere! Ok, sarcasmo a parte diciamo che non è un brutto film, ma sostanzialmente solo un film furbo, apparecchiato a tavolino e abbastanza inutile. Lui brav’uomo triste in crisi di mezz’età, lei bella e dannata ma dal cuore d’oro, entrambi in cerca di una vita parallela, inizialmente complici, poi i nodi vengono al pettine. Aggiungici uno sport stranetto, una sorella pazza, un hobby divertente (fare sesso in case altrui prendendo le altrui identità) più ovviamente due belle star...
...et voilà, la scemenz è servì! Io non credo (più) in film così, li trovo falsi, costruiti, non genuini, fatti incollando pezzi da altri film (a partire da Thelma & Louise, forse capostipite dei moderni road movie sulla fuga, bello e genuino sul serio, per finire con God Bless America, anti-hollywoodiano e sorprendente) e non in grado di aggiungere nulla al già detto più e più volte. Cui prodest? A chi giova? Non a me. 
Però pare che la fuga sia tema attualissimo almeno quanto la figa in questo momento di grossa crisi mondiale. Ma andiamo, quando mai la fuga non è stato tema attuale? Non nascondiamo gli intenti, soldi facili al botteghino.
☛ Il film verrà distribuito in Italia con il titolo Il mondo di Arthur Newman, ma non hanno detto quando.
THE LIABILITY
Craig Viveiros, UK, 2012
Altro titolo in concorso, vanta la presenza del grande Tim Roth, e guai a chi dice che Tim Roth non è un grande. Mr. Orange forever in my heart. Trama tarantiniana a dir poco, ma very British nello humour e nelle atmosfere glaciali. Un ragazzetto scavezzacollo viene mandato dal patrigno straricco e malvagio a fare da autista a un killer professionista ma ovviamente i piani non vanno come devono e la faccenda si ingarbuglia. Bravissimo il protagonista, con una faccia e un accento che più inglesi non si può, perfetti Roth nei panni del killer impassibile e Peter Mullan in quelli del patrigno feroce. 
Le venature pulp e grottesche ne fanno un film da vedere, ma purtroppo la storia si perde un po’ nel finale e mette troppa carne (criminale) al fuoco. Peccato perché poteva essere un gioiellino di genere. Menzione speciale per la colonna sonora distonica, che apre con Una rotonda sul mare (!!) sulla scena di un omicidio. 
 In UK esce a gennaio, in Italia chi lo sa.
THE CAT THAT LIVED A MILLION TIMES
Tadasuke Kotani, JAP, 2012
Va da sé che non esiste festival senza almeno un film a mandorla per Alabama. Un po’ di Tofu & Broccoli anche a Torino, anche se purtroppo ho perso il film del compianto Koji Wakamatsu, l’ultimo girato prima della sua morte avvenuta di recente. Era un grande regista. Ho invece visto questo, ma diciamo che potevo pure risparmiarmelo. Due palle che non avete idea. La storia mi interessava, in fondo parla di gatti (e infatti ci sono molti gatti, che ti risolvono sempre un’inquadratura, come li metti li metti, i gatti), e poi parla di questo libro per bambini famosissimo in Giappone, il cui titolo è anche il titolo del film, perciò non lo ripeterò. Trattasi di libro illustrato che narra la storia di un gatto che nasce e muore un milione di volte senza mai affezionarsi al padrone di turno, finché solo alla fine capisce il valore dell’amore. 
Il documentario snocciola interviste all’autrice malata di cancro (è morta nel 2010, il libro è del 1977) e a tante donne cresciute leggendo il famoso libro. Tra storia del gatto e storia delle donne in comune c’è forse la proverbiale anaffettività giapponese, rapporti freddissimi tra madri e figlie, rimpianti, rancori, ecc. ma di fondo c’è anche una gran noia. Non si capisce bene lo scopo dell’intera operazione, rendere omaggio all’autrice morente? Parlare di gatti? Di amore (che non c’è)? Di redenzione? Boh, io solo che ho stentato a tenere gli occhi aperti. Slegato, approssimativo, inconcludente. 
☛ Bah. 
Domani la terza e ultima puntata...

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